Un meme spiega cosa non va nella nostra dieta di oggi

Cosa non va nella nostra dieta?
Ieri guardando facebook sono rimasta colpita da questo meme e dai commenti.

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In sostanza, affidandosi ai propri ricordi, si chiedeva cosa si comprava un tempo dalla bottega o dal piccolo negozio di alimentari sotto casa che oggi non si trova più.
La maggior parte dei commenti è di persone che oggi hanno 50 anni e che rivelano perlopiù cosa non va nella nostra dieta oggi. Inconsapevolmente, sono emersi dei problemi della dieta moderna di cui nessuno parla.

Un  meme spiega cosa non va nella nostra dieta di oggi

Oggi sono aumentate a dismisura le confezioni dei prodotti singole o per pacco, mentre un tempo gli stessi si vendevano a peso o sfusi.

Fino a metà degli anni Ottanta, la leccornia come la cioccolata spalmabile o il dolcetto per i bambini, essendo venduto per unità o a peso, dava un’idea diversa alle persone di cosa comprassero e quanto ne dovessero mangiare. Esisteva, ovviamente, il mercato delle merendine, ma all’epoca era ancora agli albori. I genitori lo guardavano con sospetto. Non erano propensi ad affidare a merendine confezionate e biscotti l’alimentazione fuori pasto dei loro figli.
Dal bottegaio un pezzo di cioccolata veniva comprato al trancio e doveva essere sufficiente, come il formaggio, per qualche giorno.

Durante la routine della spesa il genitore che faceva la spesa tornava con un pacchetto di carta oleata e lo divideva in modo da farlo bastare per più tempo. Oggi, compriamo sei o sette confezioni di ogni prodotto. La vendita a peso dello sfuso permetteva insomma a chi acquistava di farsi un’idea molto più precisa di quanto avrebbe consumato.

Non esistevano le macchinette di cibi confezionati nelle scuole.

I ragazzini e le ragazzine di dieci anni nei primi anni Ottanta passavano dalla bottega la mattina presto, per farsi preparare una michetta con una fettina di prosciutto o con un pezzo di cioccolata. Roba che costava poche decine di lire. O una fettina di focaccia. Non immaginatevi chissà quali dimensioni.
Al contrario, le macchinette che distribuiscono dolciumi e snack sono state spesso correlate a un maggiore consumo di fuori pasto durante il giorno, a partire dagli adolescenti per finire a adulti come impiegati o altro che li trovano nei posti di lavoro. Le macchinette sono spesso usate in una serie di studi noti come “cafeteria studies”, dove il termine cafeteria indica precisi luoghi di ristoro o spazi in scuole e uffici. Sono studi che sottolineano gli effetti negativi della disposizione h24 di cibo sotto mano. 

L’altra cosa rilevante riguarda la varietà nella scelta degli alimenti prodotti industrialmente.

Certo esisteva il formaggio locale, la cioccolata, la pasta, i biscotti da latte sfusi, persino la pasta sfusa. Si andava cioè a comprare l’alimento per tipologia, e non per varietà. Oggi se io andassi a un supermercato a comprare della cioccolata, dovrei scegliere almeno tra una cinquantina di marche diverse e tra centinaia di varianti.
L’eccesso di scelta è stato correlato inpiù di uno studio all’aumento delle calorie giornaliere pro capite o all’aumento di peso. Diventa difficile fare una scelta tra tanti gusti e tante tipologie del prodotto biscotto. Con il risultato che ne comprerò diverse.

Conclusioni

Fino alla fine degli anni Settanta l’Italia era ancora un Paese che risentiva dell’influenza dell’eredità agricola e dei luoghi di provincia. Esisteva un’Italia metropolitana, diciamo così, ma questa ha impattato poco la vita degli italiani fino ai primi anni Ottanta. Così era in particolare nel settore dell’industria alimentari.

Oggi ipermercati, centri commerciali e il boom dell’industria alimentare hanno pesantemente condizionato le nostre abitudini alimentari, contribuendo a creare una società “obesogena” dove la ricchezza di scelta si affianca alla povertà qualitativa, ai prezzi più alti e alla spinta al consumismo. Certo, è così da decenni, ma le conseguenze sono sempre più serie.
Ed è incredibile come a volte basti un’immagine a segnalarci cosa non funziona oggi.